lunedì 29 febbraio 2016

mercoledì 24 febbraio 2016

martedì 23 febbraio 2016

what's good (the thesis)

Life’s like a mayonnaise soda
and life’s like space without room
and life’s like bacon and ice cream...
 

 

lunedì 22 febbraio 2016

buio in piena luce

... Le cose per ringraziare il sole di illuminare fanno ombra ... (Brecht?)


inside out


mercoledì 17 febbraio 2016

e noi le proviamo tutte (quasi)!


Caro Lou, dopo tutti questi anni posso alla fine dirti: buone la #1 e la #4, la #2 NO!

Better Call Saul


martedì 16 febbraio 2016

fortuna - treccani.it

fortuna

fortuna s. f. [lat. fortūna, der. di fors fortis «caso, sorte»]. –

1. Propriam., nome di un’antica divinità romana, personificazione della forza che guida e avvicenda i destini degli uomini, ai quali distribuisce ciecamente felicità, benessere, ricchezza, oppure infelicità e sventura: la dea Fortuna; il tempio della Fortuna. Concepita e rappresentata variamente nella letteratura e nell’arte (Dante, per es., nel c. VII dell’Inf., l’immaginò come un’intelligenza celeste ordinata da Dio quale «general ministra e duce» dei beni mondani, beata nel cielo dove «con l’altre prime creature lieta Volve sua spera»; il Machiavelli invece la riportò sulla terra, sottomettendola, ma come potenza astratta, alla volontà dell’uomo: «la fortuna è donna: ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla», cap. XXV del Principe), è rimasta anche nella fantasia popolare come un essere soprannaturale a cui si attribuisce il merito o la colpa di avvenimenti inaspettati e di improvvisi mutamenti di stato, raffigurata come una giovane donna bendata, con un piede su una ruota, simbolo della sua instabilità; e di questa personificazione rimane traccia in molte locuzioni del linguaggio comune: la f. è cieca; la ruota della f.; prendersela con la f.; essere perseguitato dalla f.; la f. gli ha arriso; la f. volle che ...; la f. t’aiuti; la f. ci assista; affidarsi alla f., ecc. E così nell’immaginazione poetica: Voi cui f. ha posto in mano il freno De le belle contrade (Petrarca); a noi Morte apparecchi riposato albergo ove una volta la f. cessi Dalle vendette (Foscolo).

2. In senso più astratto:

a. La sorte, intesa soggettivamente, in quanto cioè si mostri benigna o maligna, mandando agli uomini quanto può determinare la loro felicità o infelicità: avere la f. amica, favorevole, propizia, nemica, avversa, contraria; e come espressione augurale: buona fortuna!

b. La sorte intesa oggettivamente, come vicenda, come alterna possibilità di condizioni buone e cattive, favorevoli e avverse: la f. delle parole; la f. degli stati; con varia f., con varia vicenda. Nel linguaggio della critica, la risonanza che uno scrittore o un’opera hanno avuto presso i contemporanei o in tempi successivi, cioè l’insieme delle edizioni, traduzioni, imitazioni, valutazioni, e anche gl’influssi letterarî o spirituali esercitati: la f. di Dante; la f. del Petrarca nel Cinquecento; la f. dei «Promessi Sposi».

3.

a. Senza altra determinazione, la sorte favorevole, o più concretam. un avvenimento felice: ci vuol f.; è questione di f.; tentare la f., fare un tentativo, anche rischioso, che possa procurare con l’aiuto della sorte qualche vantaggio materiale (si dice soprattutto di chi punta una somma al gioco, in una scommessa, e sim.); cercare f., andare in cerca di f., mutare sede con la speranza di migliorare il proprio stato: è andato all’estero in cerca di f.; portare fortuna, riferito a persone, oggetti, fatti a cui si attribuisce il potere d’influire sul buon andamento delle cose, di volgere la sorte a nostro favore; essere la f. di qualcuno, far volgere decisamente la sorte a suo favore: è stato la f. della sua famiglia; questo contrattempo può essere la nostra f. (o una f. per noi); colpo di f., bene inaspettato, grosso guadagno, grossa vincita, e sim. Molto comune la locuz. avere f., con varî sign. (avere la sorte propizia, riuscire bene in tutto ciò che si fa o in casi singoli, ecc.): avere f. nel lavoro, negli affari, al gioco, con le donne; si è presentato agli esami poco preparato ma ha avuto f. ed è stato promosso; prov., chi ha f. in amor non giochi a carte (o anche: fortunato in amor ecc.); è un bravo ragazzo ma non ha f.; ha una f. sfacciata, di persona a cui tutto va bene; anche di cose che trovano largo favore, di prodotti che s’impongono sul mercato, e sim.: un libro, un’idea che ha avuto f.; è un tipo di tessuto che ha avuto molta fortuna; con altro senso, avere, non avere la f. di ..., frasi con cui si dichiara sé stessi o altri fortunati per qualche cosa che costituisce un bene: ha la f. di avere ancora vivi i genitori; ho avuto la f. d’incontrarlo mentre usciva; non ho la f. di conoscerlo. Frequente anche la locuz. fare f., migliorare stato, procurarsi una buona posizione, soprattutto economica, quindi arricchirsi: è riuscito a far f. in America; ha fatto f. con quel brevetto.

b. Di qui, con sign. concr., ricca somma, capitale: ha ereditato una bella f.; guadagnare, rischiare, sperperare, rimetterci una fortuna. Analogam., beni di f., il patrimonio: ha molti beni di f. (anche assol.: ha lasciato ai figli una grossa f., una modesta f.); mezzi di f., disponibilità patrimoniali: è un povero diavolo che non ha mezzi di fortuna.

c. Occasione favorevole: gli si è presentata una bella f.; ha sempre lui tutte le f.; pigliare, afferrare la f. per i capelli, sfruttare l’occasione al momento giusto, non lasciandola sfuggire.

d. Locuz. avv. per fortuna, per buona sorte, di cosa che capita molto opportunamente o di fatto che non causa danno: il vento ha fatto cadere un vaso dal davanzale, ma per f. nessuno passava in quel momento; si mise improvvisamente a diluviare, ma per f. avevo con me l’ombrello. Con senso analogo, fortuna che ... (ellissi di frasi come è stata una f. che, o sim.): f. che, quand’è crollato il soffitto, non ero in casa.

4. Condizione, stato: Agatocle siciliano, non solo di privata, ma di infima e abietta f., divenne re di Siracusa (Machiavelli); il totale rivolgimento della loro f. (Leopardi).

5. ant. Sorte cattiva, condizione disgraziata, disavventura: erano in f. e in gran bisogno (M. Villani); De le f. mie tante, e sì gravi (Petrarca).

6. letter. Fortunale, burrasca, tempesta sul mare: Ond’el piegò come nave in f. (Dante); Quando ingrossa ruggendo la f. (Manzoni); si disse anche f. di mare, e, con altre specificazioni, f. di vento, f. di pioggia; nella pratica marittima e assicurativa, fortune di mare, gli accidenti dovuti al mare, e qualsiasi altro evento causato sul mare da fatto fortuito o da forza maggiore. Nel linguaggio di marina, albero, pennone, timone di f., quelli che si possono improvvisare o che si tengono di riserva per sostituire l’attrezzo perduto durante un fortunale o per avaria in genere; vele di f., quelle che si spiegano in caso di perdita dell’attrezzatura ordinaria per forza di vento; di qui, per estens., la locuz. agg. di fortuna è passata a indicare qualsiasi cosa improvvisata alla meglio, o che costituisca un ripiego in caso di necessità: abbiamo riparato il guasto con arnesi di f.; fecero la strada parte a piedi parte con mezzi di fortuna. In partic., aeroporto (o campo) di f., spazio più o meno piano, privo di alberi e d’altri impedimenti, nel quale gli aerei possono atterrare in caso di necessità (compiere cioè un atterraggio di fortuna).

7. ant. Nei secoli 17° e 18°, si diceva soldato di fortuna (calco del fr. soldat de fortune) per indicare un uomo d’arme che dai gradi inferiori della milizia fosse salito, per proprî meriti, ai gradi più alti (con sign. affine alla frase odierna venuto dalla gavetta); più raram., uomo di f., uomo che si è fatto una posizione con le proprie capacità (anche questo per calco del fr. homme de fortune).

8. Nome pop. di un miriapode (Scutigera coleoptrata) che si trova talvolta nelle abitazioni: v. scutigera. ◆ Accr. scherz., poco com., fortunóna; pegg. fortunàccia, usato anche questo per lo più come accr., con varie sfumature: ma guarda che fortunaccia deve sempre avere!
 

lunedì 15 febbraio 2016

8. vivere nel fluire dell'acqua


Claim To Fame

Talk talk, yak yak
watch out for that old one track
Get it up and get it back
making it upon your back

Hold On, I'm Comin'


lone survivor


martedì 9 febbraio 2016

Rock And Roll

...She started dancing to that fine fine music
you know her life was saved by rock ‘n’ roll
yes, rock ‘n’ roll...

2. nutrire la persona


lunedì 8 febbraio 2016

into the wild


sabato 6 febbraio 2016

la mia Permanenza nell'Impermanenza...

Perchè sto scrivendo, non lo so.
Giorni fa mi è capitato di leggere questa frase in un forum, la si attribuiva a Ken Follet (Whiteout):  "Non perdoniamo mai quelli a cui abbiamo fatto un torto, perchè ogni loro sguardo ci ricorda la nostra colpa". 
Non ho controllato la fonte, mi ha molto colpito e fatto riflettere. E' scomodo pensare troppo, la mente viaggia e raggiunge spesso luoghi in cui manca luce, i conti quasi mai tornano, capire è la cosa più difficile. Nessuno di noi è strutturato in modo da poterlo fare completamente, è una ricerca infinita, sono solo pezzi di un mosaico che non si completa nè si completerà mai. Siamo solo esseri umani. Qualcuno ci prova qualcun'altro meno. Consciamente o inconsciamente, solo o in compagnia. Psicologia, filosofia, religioni, storia, esperienze, vissuto personale, relazioni, contaminazioni. Dobbiamo per forza prendere quello che riusciamo a ottenere, tanto o poco. Alla fine del nostro cammino tireremo le somme, se avremo la fortuna di poterlo fare. Le cose positive, il bello, se ci sono, ci aiutano nel frattempo a vivere, assieme. Dalle cose e dai fatti negativi, sempre presenti, dobbiamo comunque imparare. Mi rendo conto del fatto che sono considerazioni superficiali, slegate e confuse su cui si potrebbe ragionare per anni e anni, sicuramente non sono io la persona più adatta per farlo, me ne scuso. Sono questioni personali. Nel mio ultimo vagare dopo avere letto la frase, non so come, sono arrivato a interrogarmi sul "bisogno del nemico", il nemico "utile", quello che talvolta gli individui o i gruppi di persone creano ad arte per in qualche modo esorcizzare sé stessi, le proprie paure e angosce... 
Ometto di trascrivere i miei pensieri in merito e mi fermo qui. In questo parziale e occasionale momento di introspezione mi sento di dire che, quando tra almeno centocinquantanni sarò costretto a ritornare cenere dopo aver goduto per così tanto tempo del dono della Vita e di Tutto quello che ci circonda, spero che la mia avventura si concluderà senza che io abbia nel mio percorso in qualche modo fatto del male o nuociuto a chicchessìa. Non me lo perdonerei. Spero avrò consapevolezza di essermi sempre impegnato, di avere impiegato e esaurito ogni forza per chi mi ha vissuto accanto. Spero avrò dato e amato.
Spero avrò fatto tutto  il possibile per onorare la mia Permanenza nell'Impermanenza.
Amen!
Dopo questo delirio, rientro in me e torno a essere il solito grande stronzo che in realtà sono! 

 

venerdì 5 febbraio 2016

1990, un'occasione còlta!

Ventisei anni fa, sabato mattina, da solo, walkman, musica, stazione di Brescia, treno, stazione di Venezia Santa Lucia, Palazzo Grassi, musica, meraviglie, magia, fusione, confusione, CONTATTO, vibrazioni, musica, stazione di Venezia Santa Lucia, treno, stazione di Brescia, casa, solo.
Una splendida giornata, grazie Drella, un'occasione còlta!

Oops!... They Did It Again (X-Files, il fatto strano...)


giovedì 4 febbraio 2016

Move On

Avrei quasi deciso di concentrare gli sforzi per...
Cito modificando leggermente (si sentono voce e musica vero?):

... Kaua'i is my island
When the going's rough
I would love to find you
Somewhere in a place like that ...
 

mercoledì 3 febbraio 2016

martedì 2 febbraio 2016

'The Gift' - (la surreale storia di Waldo)

Waldo Jeffers era al limite
Era ormai metà Agosto,
il che significa che era
separato da Marsha
da più dì due mesi.
Due mesi,
e da mostrare non aveva altro
che tre lettere spiegazzate
e due telefonate interurbane molto care.
Certo, quando la scuola era finita
e lei era tornata nel Wisconsin,
e lui a Locust, Pennsylvania,
lei aveva giurato di mantenere una certa fedeltà.
Di tanto in tanto sarebbe uscita con qualcun altro,
ma solo per divertirsi un po’.
Sarebbe rimasta fedele.
Ma ultimamente Waldo
aveva cominciato a preoccuparsi.
Di notte aveva problemi a prendere sonno,
e quando dormiva faceva sogni tremendi.
Passava la notte sveglio,
girandosi di qua e di là
sotto le coperte,
le lacrime gli riempivano gli occhi
mentre immaginava Marsha
i suoi giuramenti vinti dall’alcol
e dalla dolce consolazione di qualche neanderthal,
finché non si sarebbe arresa definitivamente
alle carezze dell’oblio sessuale.
Era più di quanto la mente umana
riuscisse a sopportare.
Le visioni dell’infedeltà di Marsha lo perseguitavano.
Di giorno le fantasie dell’abbandono sessuale
invadevano i suoi pensieri,
ma quello che gli dava più fastidio
era che non avrebbero compreso
che tipa lei era veramente.
Solo lui, Waldo, poteva capirlo.
Lui aveva intuito ogni anfratto
e ogni angolo della sua psiche.
Lui l’aveva fatta sorridere
lei aveva bisogno di lui,
e lui non c’era.
(ahh…)
L’idea gli venne il giovedì
prima che partisse
la parata in costume.
Aveva appena finito di tagliare l’erba e di sistemare
il giardino degli Edison per un dollaro e cinquanta
e poi controllò la cassetta della posta
per vedere se c’era almeno una parola
da parte di Marsha.
Non c’era che il volantino della
Amalgamated Aluminium Company
che cercava di indagare se gli servivano dei tendoni.
Perlomeno si interessavano al punto da scrivere.
Era una ditta di New York.
Si poteva arrivare in qualsiasi posto con la posta.
Poi ebbe l’idea.
Non aveva soldi abbastanza
per andare fin nel Wisconsin
nei modi convenzionali, è vero,
ma perché non imbucare sè stesso?
Era assurdamente semplice.
Si sarebbe inviato come un pacco postale espresso.
Il giorno dopo Waldo andò al supermercato
per acquistare l’occorrente.
Comprò nastro adesivo da pacchi, una pinzatrice
e una scatola di cartone di medie dimensioni,
perfetta per una persona della sua corporatura.
Valutò che, con un minimo di accorgimenti,
poteva viaggiare abbastanza comodamente.
Qualche buchetto per far entrare l’aria, dell’acqua
e qualche spuntino,
e probabilmente sarebbe stato
come partire in classe turistica.
Il venerdì pomeriggio Waldo era pronto.
Si era impacchettato con cura, e l’ufficio postale
avevano detto che qualcuno sarebbe passato
a prenderlo alle tre.
Sul pacco aveva messo la scritta “fragile”
e mentre vi si rannicchiava
adagiandosi sulla gommapiuma
che aveva previdentemente inserito,
provò a immaginare lo sguardo sorpreso
e felice sul viso di Marsha quando,
aperta la porta,
vìsto il pacco
e lasciata la mancia al postino,
avrebbe aperto il tutto e sì sarebbe trovata
il suo Waldo in carne e ossa.
L’avrebbe baciato
e poi forse avrebbero potuto vedere un film.
Se solo ci avesse pensato prima.
A un tratto, mani poco attente afferrarono il pacco,
e si trovò a volare.
Atterrò con un tonfo sordo dentro un camion, e partì.
Marsha Bronson aveva appena finito
di sistemarsi i capelli.
Era stato un weekend molto duro.
Doveva ricordarsi dì non bere in quel modo.
Bill era stato gentile con lei, però.
Dopo che avevano finito,
Bill aveva detto che la rispettava ancora,
e che dopotutto era il modo in cui andavano le cose,
e anche se, no, non l’amava,
provava molto affetto per lei.
E dopotutto erano adulti.
Ah, quante cose Bill poteva insegnare a Waldo.
Ma sembrava fossero passati già tanti anni.
Sheila Kleìn, la sua migliore amica,
entrò in cucina
attraverso la porta della veranda.
«Oddio, è proprio tremendo fuori.»
«So che vuoi dire. Mi sento tutta sfasata.»
Marsha si strinse la cintura dell’accappatoio
di cotone con i bordi di seta.
Sheila sfiorò dei grani di sale
sulla tavola di cucina,
si leccò il dito e fece una smorfia.
« Dovrei prendere certe pillole di sale, ma»
arricciò il naso
«mi fanno venire il vomito.»
Marsha cominciò a darsi dei colpetti sotto il mento,
un esercizio per il viso che aveva visto in televisione.
«Dio, non parlarne nemmeno.»
Si alzo dalla tavola e andò verso il lavandino,
dove prese una confezione
di vitamine rosa e azzurre.
« Ne vuoi una? Dovrebbero essere meglio
di una bistecca.»
Poi provò a toccarsi le ginocchia.
«Credo che non berrò mai più un daiquiri.»
Rinunciò e si sedette,
questa volta più vicino al tavolino
dove era appoggiato il telefono.
«Forse Bill chiamerà»
disse in risposta allo sguardo di Sheila.
Sheila si stava mordicchiando una pellicina.
«Dopo la scorsa notte,
forse faresti meglio a chiudere con lui»
«Capisco che vuoi dire.
Dio mio, era proprio come un polipo,
mani dappertutto!»
disse alzando le braccia quasi in difesa.
«E che dopo un po’
ti stanchi di resistergli, sai,
e dopo tutto venerdì e sabato
con lui non avevo fatto proprio niente,
e così un po’ glielo dovevo, sai che intendo»
Cominciò a grattarsi.
Sheila stava ridacchiando,
la bocca coperta dalla mano.
«Ti dirò, anch’io mi sentivo proprio così, anzi,
dopo un po’»
e qui si piegò in avanti in un sussurro
«lo volevo.»
E cominciò a ridere forte.
Fu a questo punto che il signor Jameson,
dell’ufficio postale Clarence Darrow,
suonò alla porta della villetta
quadrata decorata a stucchi.
Quando Marsha Bronson aprì la porta,
lui l’aiutò a portar dentro il pacco.
Fece firmare i suoi moduli
verdi e gialli,
e se ne andò con una mancia di quindici centesimi
che Marsha
aveva preso dal piccolo borsellino beige
della mamma nello studiolo.
«Che sarà, secondo te?»
chiese Sheila.
Marsha se ne stava in piedi con le braccia
intrecciate dietro la schiena.
Fissava la scatola di cartone marrone
poggiata in mezzo al salotto.
«Non lo so.»
Dentro il cartone. Waldo fremeva di eccitazione
mentre ascoltava le voci attutite.
Sheila fece scorrere l’unghia lungo il nastro di scotch
che passava per il centro della scatola.
«Perché non guardi l’indirizzo del mittente
cosi vedi da chi arriva?»
Waldo sentiva battere il suo cuore.
Sentiva le vibrazioni dei passi.
Fra non molto.
Marsha girò intorno alla scatola
e lesse l’etichetta scarabocchiata.
«Dio! Viene da Waldo!»
«Quel coglione!» disse Sheila
Waldo tremava di impazienza.
«Be’, perché non aprirlo?» disse Sheila
ed entrambe provarono a sollevarne un lembo.
«Oaah,» esclamò Marsha seccata
«deve averlo inchiodato.»
Provarono a strappare di nuovo.
«Dio mio, ci vuole un trapano per aprire questa cosa».
Tirarono ancora una volta.
«Così non si riesce.»
Entrambe se ne stavano in piedi col fiatone.
«Perché non prendi un paio di forbici?»
domandò Sheila.
Marsha corse in cucina,
ma non riuscì a trovare altro
che una forbicina da unghie.
Poi si ricordò che
suo padre teneva degli attrezzi in cantina.
Corse giù per le scale,
e tornò
con un grande tagliacarte in mano.
«Non ho trovato niente di meglio.»
Le mancava il fiato.
«Tieni, fallo tu, sto per schiattare.»
Si gettò sull’enorme divano lanuginoso
sbuffando rumorosamente.
Sheila provò a fare un taglio netto tra lo scotch
e l’orlo del cartone,
ma la lama era troppo spessa
e la fessura era troppo stretta.
«Maledizione»
esclamò esasperata.
Poi, sorridendo, aggiunse,
«Ho un’ idea».
«Quale?» chiese Marsha.
«Sta’ a guardare» disse Sheila
toccandosi la fronte con un dito.
Dentro lo scatolone,
Waldo era talmente eccitato
che non riusciva quasi a respirare.
La pelle gli formicolava per il calore
e si sentiva battere il cuore in gola.
Fra non molto.
Sheilà si alzò sulla punta dei piedi,
e camminò intorno
alla scatola.
Poi s’inginocchiò,
prese il taglialamiere con entrambe le mani,
fece un respiro profondo,
e sprofondò la lunga lama
al centro del pacco,
attraverso lo scotch,
attraverso il cartone,
attraverso l’imbottitura,
e attraverso il centro
della testa di Waldo Jeffers,
che si squarciò lieve tra archi ritmici di color rosso
che pulsavano dolcemente
nel sole del mattino.


The Velvet Underground - White Light/White Heat