lunedì 31 agosto 2009

C. IVLI CAESARIS COMMENTARIORVM DE BELLO GALLICO LIBER QVINTVS

(44) In quella legione militavano due centurioni di grande valore, T. Pullone e L. Voreno, che stavano raggiungendo i gradi più alti. I due erano in costante antagonismo su chi doveva esser anteposto all'altro e ogni anno gareggiavano per la promozione, con rivalità accanita. Mentre si combatteva aspramente nei pressi delle nostre difese, Pullone disse: "Esiti, Voreno? Che grado ti aspetti a ricompensa del tuo valore? Ecco il giorno che deciderà le nostre controversie!" Ciò detto, scavalca le difese e si getta contro lo schieramento nemico dove sembrava più fitto. Neppure Voreno, allora, resta entro il vallo, ma, temendo il giudizio di tutti, segue Pullone. A poca distanza dai nemici, questi scaglia il giavellotto contro di loro e ne colpisce uno, che correva in testa a tutti; i compagni lo soccorrono, caduto e morente, proteggendolo con gli scudi, mentre tutti insieme lanciano dardi contro Pullone, impedendogli di avanzare. Anzi, il suo scudo viene passato da parte a parte e un veruto gli si pianta nel balteo, spostandogli il fodero della spada: così, mentre cerca di sguainarla con la destra, perde tempo e, nell'intralcio in cui si trova, viene circondato. Subito il suo rivale Voreno si precipita e lo soccorre in quel difficile frangente. Su di lui convergono subito tutti i nemici, trascurando Pullone: lo credono trafitto dal veruto. Voreno combatte con la spada, corpo a corpo, uccide un avversario e costringe gli altri a retrocedere leggermente, ma, trasportato dalla foga, cade a capofitto in un fosso. Viene circondato a sua volta e trova sostegno in Pullone: tutti e due, incolumi, si riparano entro le nostre difese, dopo aver ucciso molti nemici ed essersi procurati grande onore. Così la Fortuna, in questa loro sfida e contesa, dispose di essi in modo che ognuno recasse all'antagonista aiuto e salvezza e che non fosse possibile giudicare a quale dei due, per valore, toccasse il premio per il valore.

Erant in ea legione fortissimi viri, centuriones, qui primis ordinibus appropinquarent, Titus Pullo et Lucius Vorenus. Hi perpetuas inter se controversias habebant, quinam anteferretur, omnibusque annis de locis summis simultatibus contendebant. Ex his Pullo, cum acerrime ad munitiones pugnaretur, "Quid dubitas," inquit, " Vorene? aut quem locum tuae probandae virtutis exspectas ? hic dies de nostris controversiis iudicabit." Haec cum dixisset, procedit extra munitiones quaque pars hostium confertissima est visa irrumpit. Ne Vorenus quidem tum sese vallo continet, sed omnium veritus existimationem subsequitur. Mediocri spatio relicto Pullo pilum in hostes immittit atque unum ex multitudine procurrentem traicit; quo percusso et exanimato hunc scutis protegunt, in hostem tela universi coniciunt neque dant regrediendi facultatem. Transfigitur scutum Pulloni et verutum in balteo defigitur. Avertit hic casus vaginam et gladium educere conanti dextram moratur manum, impeditumque hostes circumsistunt. Succurrit inimicus illi Vorenus et laboranti subvenit. Ad hunc se confestim a Pullone omnis multitudo convertit: illum veruto arbitrantur occisum. Gladio comminus rem gerit Vorenus atque uno interfecto reliquos paulum propellit; dum cupidius instat, in locum deiectus inferiorem concidit. Huic rursus circumvento fert subsidium Pullo, atque ambo incolumes compluribus interfectis summa cum laude sese intra munitiones recipiunt. Sic fortuna in contentione et certamine utrumque versavit, ut alter alteri inimicus auxilio salutique esset, neque diiudicari posset, uter utri virtute anteferendus videretur.

dune

... Dodici anni dopo gli eventi descritti in Dune, Paul Atreides è ancora l'imperatore della galassia e governa l'universo conosciuto dalla sua capitale su Arrakis. Da poco si è conclusa una jihad scatenata dai Fremen che vedono in lui il loro messia e desiderano diffonderne il culto su ogni pianeta. Benché Paul sia il più potente imperatore mai esistito, egli stesso è impotente di fronte alla forza del mito che lo circonda e che spinge i suoi fedeli al fanatismo più estremo ...

venerdì 28 agosto 2009

bene gesserit

Io non avrò paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta alla cancellazione totale. Affronterò la mia paura. La lascerò passare sopra di me e attraverso me. E quando sarà passata, volgerò il mio occhio interiore per vedere il suo cammino. Là dove la paura è passata non ci sarà nulla. Rimarrò soltanto io.
Litania Bene Gesserit contro la paura

mercoledì 26 agosto 2009

5 yrs 1 mth later

I'm glad no one's here just me by the sea

I'm glad no one's here to mess it up for me

I'm glad no one's here just me by the sea

But man, I wish I had a hand to hold

I saw an orange starfish on the side of a rock

I poked on his back & tried to pull him off

A crab scared me away he ran close to my toes

And man, I wish I had a hand to hold

The moon is nowhere almost time for the sun

The voice of the waves sound anciently young

I'm a prisoner of freedom ten toes in the sand

And man, I wish I had a hand to hold

I'm in the habit of being alone

I try hard to break it I can't on my own

I'm glad no one's here just me by the sea

I'm glad no one's here to mess it up for me

I'm glad no one's here just me by the sea

paul atreides

Nelle profondità del nostro inconscio c'è un bisogno ossessivo di un universo logico e coerente. Ma il vero universo è sempre a un passo al di là della logica.

Dalla “Raccolta dei detti di Muad'Dib”, della Principessa Irulan

lunedì 24 agosto 2009

cancelli ...

domenica 9 agosto 2009

willy de ville - ( 25 agosto 1950 – 6 Agosto 2009)

Perfino Wikipedia, sempre attenta a battere la concorrenza sull’ora delle morte e ad aggiornare il presente in passato remoto, ci ha messo qualche minuto di troppo. Willy DeVille non era così famoso. Però lascia un vuoto simile a una voragine per chi lo ha amato, e pure la consapevolezza che il rock scivola grandioso come il tempo. Grandioso, inesorabile. Willy se ne va. A 59 anni, tumore al pancreas. Sul suo sito una nota a giugno. “Con il cuore spezzato vi annunciamo che i dottori gli hanno diagnosticato un cancro”. Date del tour annullate. Ieri sera poche righe. “Con il cuore pesante rendiamo noto che Willy è passato a miglior vita, serenamente”. C’è sempre un cuore che batte, perfino di troppo, nell’opera di questo americano meticcio. Era secco come un chiodo William, detto Willie. I capelli lunghi, i baffetti, le camicie con lo sbuffo e l’orecchino. Un corsaro, un pirata, un Capitan Uncino. Suonava rock ibrido, macchiato da mille contaminazioni nell’epoca consegnata alla purezza degli stili. Lui no. Lui shakerava . Metteva il punk assieme alle influenze latine, i quattro quarti dei vicoli con il lirismo, la poesia affranta con storie di donne e di coltello. Melò imprevedibile. Metà indiano d’America, metà irlandese, metà basco. Alcolico. Meraviglioso "cane randagio".

Cominciò la storia nella New York algida tra i ‘70 e gli ’80. Si chiamavano Mink Deville. Della formazione nessuno ha più memoria. Ma c’era lui, a volte con la giacchetta da domatore, altre con la canottiera. Lui. E quella chitarra caldissima e dolorante, la voce nasale e un po’ drammatica, la faccia da volpe a reinterpretare “Hey Joe”, come neanche Jimi Hendrix tra una tribù di ispanici. Ci sono dischi che vale la pena rispolverare e baciare esattamente al centro, per non inumidire il vinile. Dischi tipo “Cabretta” con “Spanish stroll”, sgangherata e imponente. Dischi come “Return to Magenta”, violento e pistolero, o come “Coup de Grace”, dove il colpo di grazia del punk si sposa al Martedì grasso, alle nenie di New Orleans e ai titoli di canzoni degli Stranglers e dei Plasmatics. Cajun e blues di fango. “Ho problemi con la band, coi manager e con me stesso”, diceva Willy. Poi, però, staccava la chitarra dal chiodo e tirava fuori dal cilindro operine oblique. Tipo “Le chat Blue”. Quando, anni dopo, venne a Roma a raccontarcelo si accompagnava a una bionda svampita, con un gatto tatuato sul braccio. Lei tutta fusa, minigonna e denti da vampiro. Lui ringhiante e ormonale. Pomiciarono anche sul palco del Palladium, club alla Garbatella, incuranti come una coppia da fumetto trash, un po’ Walt Disney, un po’ Corto Maltese, mentre la gente si spellava le mani. Pochi album da top ten, forse “Miracle” (’87) su tutti. Poi capitoli aperti, chiusi, ottimi produttori, ma quell’ansia di farsi male, provocare, ferirsi fino a vedere il bianco dell’osso che non ingrassa il business. Quindici anni di fuga tra New Orleans e il Southwest con la seconda moglie, Lola, “il gatto blu” , morta suicida mentre lui si faceva di eroina. Poi la svolta con Nina, la terza affettuosa compagna. Quindi qualche disco minore. Vale la pena ricordarlo con “Loup garou”, dove interpreta la parte dolente del lupo mannaro. C’è la canzone che chiude l’album, “My own desire”, che è un piccolo, prezioso testamento. La ninna nanna del vampiro, dove i sospiri hanno timbri da crepuscolo, a dispetto delle sbornie salsere. “Demasiado corazon” batte cassa, ma in lontananza.

Chiude l’epopea “Pistola”, del 2008. Nitroglicerina bagnata. Ci resta tutto il resto, però. Willy il bucaniere ci resta. Con la chitarra come una spada sulla prua di una nave fantasma. A indicarci l’isola che non c’è mentre la truppa fischia furiosa un rock’n’roll d’annata. Ci resta una parte di lui. Se ne muore un pezzo di noi. Cuore compreso.

di Daniela Amenta

giovedì 6 agosto 2009

RAN

Spettacolare tragedia, magnificamente ambientata nelle verdi e aperte alture del Giappone feudale del 1500: la storia ruota attorno ad un sovrano e ai suoi tre figli che porteranno alla rovina la loro casata. Ran (Caos) è una spietata visione della condizione umana: l’uomo (e la donna, magari più astuta e ammaliatrice ma non per questo al sicuro) in balia dei propri desideri, soggiogato da passioni e tormenti, cieco e in mancanza di tutto questo comunque beffato dal destino o da qualche divinità indifferente. Inquadrature indimenticabili, scene di battaglia da antologia, costumi curatissimi e sgargianti (che hanno vinto l’oscar), musiche e suoni azzeccati ed elettrizzanti contribuiscono a fare di questo film un indiscutibile capolavoro. Kurosawa dirige e rappresenta senza sentimentalismi, senza che trasudi inutile pietà, ma le scene che costruisce trasmettono un senso di disperazione, un pessimismo universale, nascosto, però, già negli affetti più intimi, che può turbare... (lad - filmagenda.it)

mercoledì 5 agosto 2009

be mine

I never thought of this as funny

It speaks another world to me

I want to be your Easter bunny

I want to be your Christmas tree.

I'll strip the world that you must live in

of all its godforsaken greed.

I'll ply the tar out of your feathers.

I'll pluck the thorns out of your feet.

you and me.

you and me.

and if I choose your sanctuary

I want to wash you with my hair.

I want to drink of sacred fountains

and find the riches hidden there.

I'll eat the lotus and peyote.

I want to hear the caged bird sing.

I want the secrets of the Temple.

I want the finger with the ring.

you and me.

you and me.

you will see.

that if you make me your religion

I'll give you all the room you need.

I'll be the drawing of your breath.

I'll be the cup if you should bleed.

I'll be the sky above the Ganges

I'll be the vast and stormy sea.

I'll be the lights that guide you inward.

I'll be the visions you will see.

the visions you will see.

you will see.

you will see.

you and me.

you and me.

you and me.

Fahrenheit 451

i sette samurai (1954)

I sette samurai (七人の侍, Shichinin no Samurai), Giappone 1954, film diretto da Akira Kurosawa, interpretato, tra gli altri, da Toshirō Mifune e Takashi Shimura. Il film è considerato un vero jidaigeki, rimanendo allo stesso tempo nel genere dell'intrattenimento. Di fama mondiale, la pellicola è uno dei più grandi successi di Kurosawa, addirittura considerata da diverse organizzazioni il migliore film giapponese, nonché il primo prototipo del film d'azione.

(it.wikipedia.org)

Nel Giappone del XVI secolo in cui orde di soldati sbandati e dediti al brigantaggio saccheggiano le campagne, la popolazione di un povero villaggio decide di ricorrere ai samurai, nobile casta di soldati di ventura, nella speranza di trovare qualcuno disposto a impegnarsi in un'impresa così umile e così poco remunerata. Li trovano. Selezionati dal saggio e disincantato Kambei (T. Shimura), cinque rispondono all'appello. Il settimo è il contadino Kikuchiyo (T. Mifune), miles gloriosus che vuole conquistarsi sul campo l'onore di essere promosso samurai. Nella strenua difesa del villaggio quattro dei sette e molti contadini muoiono da prodi. L'attacco è respinto e nei campi riprende il lavoro. Molti fattori contribuiscono a fare la grandezza del 14° film di A. Kurosawa: la sapienza della costruzione narrativa (1 prologo, 1 epilogo e 4 capitoli: la ricerca dei contadini, il reclutamento dei samurai, l'organizzazione della difesa, la battaglia che dura tre giorni e tre notti); l'ariostesca varietà degli episodi e dei registri narrativi unita alla bellezza figurativa di questo affresco corale; la straordinaria galleria dei sette, ciascuno dei quali rappresenta un diverso aspetto della moralità e del comportamento dei samurai; la ricchezza dialettica nel confronto tra due culture; l'equilibrio tra la toccante elegia dei sentimenti e l'epica turbinosa dell'azione. L'epilogo è su una nota di virile malinconia: noi samurai – dice Kambei – siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini. Anche questa volta siamo stati noi i vinti; i veri vincitori sono loro. Scritta dal regista con Shinobu Hashimoto e Hideo Oguni l'edizione originale di 200 min. – ridotta subito a 160 per il Giappone e a 130 per l'esportazione – fu ripristinata nel 1980. Fu quella, in originale con i sottotitoli – che andò in onda su RAI1 nel 1985 in un ciclo di Kurosawa. Rifatto a Hollywood in forma di western come I magnifici sette (1960) e come film di SF: I magnifici sette dello spazio (1980).

(mymovies.it)

martedì 4 agosto 2009

unforgiven (1992)

da due a trentotto

noveagostodieciagostoundiciagostododiciagostoventunoagosto

lunedì 3 agosto 2009

nelle terre selvagge

Così va il mondo

Non puoi mai sapere

Dove mettere tutta la tua fede

E dove ti porterà

Mi solleverò

Bruciando dei buchi neri nei ricordi bui

Mi solleverò

Trasformando gli errori in oro

Così passa il tempo

Troppo veloce da domare

Improvvisamente ingoiato dai segni

Ma guarda un po'

Mi solleverò

Troverò la mia direzione magneticamente

Mi solleverò

Giocherò il mio asso nella manica

(Ed Vedder - Rise)