lunedì 17 dicembre 2007

Delmore

Il Mondo È un Matrimonio di Delmore Schwartz, traduzione di Attilio Veraldi, Giano Ed.
Per una volta, conviene iniziare a leggere un libro dal fondo. Le poche pagine di notizie sull’autore, curate da Francesco Rognoni, permettono di capire meglio e apprezzare ancora di più le doti di Delmore Schwartz, che fu considerato come uno dei più talentuosi poeti americani della generazione cresciuta negli anni della Depressione, che nel 1948 fu acclamato da Time come un novello Cechov o Stendhal, e che nel 1966, distrutto da alcol, barbiturici e anfetamine, morì in solitudine, tanto che il suo corpo rimase due giorni in obitorio prima che qualcuno lo reclamasse. La biografia di Schwartz, nato nel 1913 da ebrei rumeni immigrati in America, è illuminante per i suoi racconti, tutti pervasi da un senso di quieta, ma assoluta disperazione: il mondo, più che un matrimonio, è un teatro sul cui palcoscenico si muovono – in una rappresentazione crudelmente priva di senso – intellettuali presuntuosi, frustrati e incattiviti dalla propria stessa inutilità (vedi i racconti Capodanno, atroce cronaca della festa più deprimente che si possa immaginare, e Il mondo è un matrimonio), o piccoli borghesi imprigionati nei rapporti familiari (vedi America! America e I figli sono il senso della vita, con le memorabili figure di Rebecca e Ruth Hart, vittime del capriccioso e ricattatore affettivo Samuel, fratello di Rebecca e figlio di Ruth). Cambiano i protagonisti – alcuni ritornano in più racconti – ma l’ambiente è sempre quello della borghesia ebrea laica, in lotta, tutto sommato vittoriosa, con le durezze del crollo del 1929.Altri racconti sono più onirici, come quello in cui una nevicata ricopre le strade di New York e forma delle misteriose e affascinanti statue di ghiaccio, che con il passare dei giorni magnetizzano i cittadini, al punto di modificarne le abitudini, rendendoli sereni e contemplativi. Ma la felicità è effimera, perché una pioggia sporca e instancabile le distrugge: ricominciano i dissidi, i suicidi, gli omicidi, le fughe da casa. E ben presto scende l’oblio: «Solo pochi furono abbastanza turbati da tenere a mente, con l’aiuto di fotografie, il periodo in cui delle statue avevano mostrato le loro forme meravigliose dappertutto nella città di New York». Quello che è considerato un capolavoro nel campo del racconto breve è l’angosciante Nei sogni cominciano le responsabilità. Schwartz lo scrisse nel 1935, e l’operina di quel ragazzo di 24 anni impressionò chi lesse il manoscritto al punto che a Schwartz toccò l’onore di aprire il primo numero dell’intellettualissima e militante Partisan Review. Nel sogno, il poeta è al cinema, e sullo schermo vede scorrere le immagini mute dell’innamoramento tra suo padre e sua madre. E nel sogno stesso, lo spettatore sa benissimo come finirà quel film: quei due ragazzi sorridenti diventeranno un uomo e una donna rissosi, vittimisti e infelici, involontari carnefici dei figli. Ed è inutile gridare e disperarsi in platea.

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